Joana la transona

Joana era nata a Sao Paulo ed a sedici anni era scappata di casa cominciando a lavorare. Voleva mettere da parte i soldi per farsi l’operazione, tagliare il pene, attaccarsi due belle tette e ricominciare da zero la sua vita in Italia. Si era formata nei bordelli più luridi della capitale paulista andando prima con delle vecchie signore che apprezzavano il suo petto glabro, il suo corpo esile e longilineo. Poi, appena aveva cominciato la cura ormonale, aveva assaggiato il sapore del cazzo.

Era atterrata alla Malpensa nel gennaio 2014 con in tasca l’indirizzo di Sandrina, l’ex-compagno di classe di suo cugino, che l’avrebbe ospitata nel primo periodo in Italia. Si sistemò nel salotto del suo appartamento in zona Rogoredo e dopo poche ore dal suo arrivo a Milano si trovò in bocca il primo cazzo da succhiare. Sandrina aveva un giro di clienti che riceveva direttamente in casa e non aveva problemi a condividerli con la nuova arrivata. Joana non aveva gran dimestichezza con i cazzi bianchi, perché in Brasile praticamente non ne aveva mai veduti, così si approcciò a quel pompino a modo suo. Tirava il cazzo dalla cappella e con la lingua cercava d’infilarsi nell’orifizio per stimolarlo a crescere spingendolo di nuovo in dentro. L’uomo era un po’ intimidito ma sembrava giovare di quel tira e molla perché nelle palle era tutto un brulicare di sperma. Quando sentì che il calore stava crescendo da brava zoccola la giovane trans brasiliana scaricò l’uccello del suo primo cliente italiano fra le sue tette finte, rotonde ed unte, che si macchiarono vistosamente.

I giorni successivi Joana festeggiò il suo arrivo con la piccola comunità delle trans brasiliane del giro della sua amica. Fejoada con bistecche di prosciutto di maiale alte tre dita. Si ubriacarono di birra chiara e finirono ben presto sul divano a guardare X-Factor versione brasiliana e a pomiciare. Ben presto la padrona di casa tirò fuori uno strano dildo a forma di cactus e cominciò a leccare il culo di Sandrina strofinando l’arnese verde sulle sue palle. Nell’aria si stava espandendo un odore di cazzi e di culi neri in calore, l’orgia dei giovani trans era bollente ed anche Joana, pur senza cazzo e senza fica, si faceva leccare quel brufolone che aveva fra le gambe. Le altre ragazze ne erano curiose, perché loro non avevano mai pensato di farsi tagliare il cazzo, anzi. I clienti italiani andavano con loro proprio perché ancora avevano l’arnese tra le gambe. Non era infatti vero che andassero a trans per penetrare analmente e farsi sbocchinare, ma ce n’erano anche molti che amavano prenderlo da dietro. Froci repressi, ma non solo. C’erano anche tanti eterosessuali aperti, gente che magari aveva sperimentato la gioia del dito in culo con la moglie e poi si era voluta spingere oltre. Ma non tutte le mogliettine erano capaci di salire in cattedra ed indossare una cintura fallica o magari spaccare il culo dei loro coniugi con un dildo. Così entravano in scena i trans. Individui promiscui, sempre disponibili, perennemente sorridenti, in bilico perenne tra un’identità e l’altra. Potevi vederli come donne se volevi, perché di fatto ne avevano le sembianze e gli odori, ma poi se ti capitava di sentire il loro uccello, allora l’ormone maschile tornava a fare capolino.

Joana dopo quell’orgia aveva capito perché si era fatta asportare l’uccello. A lei non interessava tanto che qualcun altro si prendesse cura del suo piacere, quanto che lei riuscisse a far godere gli altri. Perciò il suo pisello le era sembrato sempre una protesi estranea, oscura ed ingombrante. Ma non quello degli altri. Quando prendeva in bocca il cazzo di un cliente si soffermava con dovizia sulla cappella strizzandola per fa uscire tutto il liquidino. Poi le piaceva stuzzicare il filetto con la lingua e titillare lo scroto in corrispondenza di quel sottile filino che divideva i testicoli in due, risalendo da sotto le palle fino al buco del culo. Sì, quella era la sua specialità. Anche se molti a chiederlo prima non volevano, tutti rimanevano di stucco quando lei, con il suo unico dito in cui non aveva l’unghia lunga, lo infilava dentro con grande dolce, decisione e precisione, proprio poco prima di raggiungere l’orgasmo. Il dolore di quel gesto, se instillato dentro proprio nel momento dell’ondata di piacere orgasmica, diveniva quasi un surplus di goduria. Secondo Joana questo succedeva per una sorta di grande legge naturale che disponeva che ai massimi livelli piacere e dolore si toccassero, arrivando quasi ad assomigliarsi.

A distanza di appena sei mesi dal suo arrivo nel capoluogo meneghino la transessuale prostituta brasiliana si era già emancipata. Aveva preso in affitto un fondo non troppo grande né troppo piccolo e l’aveva arredato alla sua maniera. Materassi enormi, poltroncine coloratissime e gonfiabili, giocattoli erotici e materiale kitsch tutt’intorno. Si sentiva a casa, o almeno così aveva sempre pensato che potesse essere casa sua. Piano piano cominciò ad accogliere nella sua nuova dimora anche le richieste che fino ad allora aveva dovuto rifiutare. C’erano ad esempio due fratelli gemelli di 35 anni che, uno alla volta, erano stati al suo capezzale. Spesso le avevano chiesto di poter fare una cosa a tre, ma lei aveva sempre risposto picche. Ora che ha disposizione c’era tutto lo spazio necessario, non c’erano più limiti da porsi. Come aveva previsto i gemellini avevano intenzione di usarla per raggiungere il loro scopo. L’amore fraterno gay ed incestuoso. Siccome entrambi erano piuttosto timidi, a farlo da soli si sarebbero vergognati. Invece con la mediazione del travello era tutta un’altra cosa. I fratellini si facevano spogliare ed accarezzare, poi quando i loro cazzoni erano belli dritti Joana li introduceva uno nella bocca dell’altro. Faceva un po’ da tutore ed untore, nel senso che prima di tutto era lei ad assaggiare e poi faceva giocare i gemelli.

Ma l’evento più bello con cui inaugurò per davvero la nuova magione fu la gangbang di natale con la squadra di calcio dello Zighidoro football club. Si trattava di una compagine di Terza Categoria di baldanzosi giovani provenienti dalla provincia di Bergamo. Si erano presentati in otto, gonfi di polvere bianca, e lei si era messa in ginocchio all’interno del cerchio ed aveva cominciato a succhiare i loro uccelli a rotazione. Aveva anche un piccolo frustino ed ogni tanto quando vedeva un cazzo che si smosciava, lo prendeva a frustate nei testicoli e prendeva a succhiarlo come una pompa idraulica. Uno ad uno, meticolosamente procedeva come un militare a segarli e spompinarli – ce n’era di tutte le misure, e quando sentiva che godevano troppo e si avvicinavano al momento dell’orgasmo, si fermava. Sentiva di avere in quel momento un gran potere e voleva farli venire tutti insieme, all’unisono, addosso a lei. Si mise carponi a buco aperto al centro del cerchio nel mentre con la mano imitava il gesto della sega e della sborrata collettiva che le si sarebbe spalmata addosso. Alla fine partì in un countdown feroce e si dimenò durante il bukkake nel mentre la maggior parte dei ragazzi le stava venendo adosso. Chi aveva mirato al culo, chi alla schiena e chi al viso, Joana era letteralmente ricoperta di chiazze di seme bianco ed opalescente. Sembrava contenta e continuava a guardare dritto negli occhi gli ultimi rimasti che dovevano ancora venire.

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