La prima esperienza sessuale di Cristiano

Cristiano era sempre stato un ragazzo piacevole e bello. Alto oltre un metro e settanta, occhi azzurri e limpidi, naso piccolo, biondi capelli cinerei tenuti sempre in piega perfetta… e sul davanti un ciuffetto ribelle che sembrava disegnato dalla mano di un pittore. La sua vita l’aveva passata nella città di mare dove era nato. Prima aveva cercato di seguire le orme del padre, marittimo, uomo dalla profonda integrità morale. La vita del marinaio era dura e bellissima, ma Cristiano aveva presto scoperto di soffrire il mare, di essere diverso da suo padre. Non sopportava le lunghe solitudini scandite solo da albe e tramonti, l’incessante rollio sull’acqua che ingabbiava anche i suoi sogni.

Una volta sbarcato aveva così deciso di seguire altre orme, quelle della madre, cameriera. A diciannove anni aveva cominciato a guadagnare abbastanza soldi da potersi permettere di affittare una mansardina con vista sui canaletti del porto. Lavorava soprattutto l’estate. La mattina si svegliava presto, ed andava al mercato del pesce insieme al cuoco, per imparare a scegliere la materia prima. C’erano dei capitoni al mercato… un pesce che si chiamava grongo, sembrava un grosso serpente, ed era uno degli ingredienti principali della zuppa di pesce caldo che al ristorante si serviva spesso.
Durante il servizio si divertiva sempre a scambiare quattro chiacchiere con i clienti per farli sentire a loro agio. Azzardava anche ad esprimersi in inglese, francese e spagnolo, sebbene più di ogni altra cosa non amasse tradurre dal dialetto i nomi originali delle ricette.

La prima storia seria a livello sessuale l’aveva avuta con una collega.
Era una ragazza di ventuno anni, più grande di lui.
Entrambi erano stati assunti lo stesso anno, all’inizio della stagione estiva, e Cristiano aveva subito notato la sua particolare grazia nel servire, la sua fisicità esile e longilinea, tuttavia ben equilibrata. Tutte le sere alle cinque e mezza in punto, prima della cena dei camerieri, la vedeva entrare nel magazzino per cambiarsi ed uscire bella fresca e profumata. Era brava e precisa, ma non amava fare le corse per non incasinarsi e, durante il servizio, spesso affannava per le troppe comande. Così Cristiano l’aiutava, prendendosi in carico parte del suo lavoro.
Poi, a fine serata, lei ritornava in magazzino per cambiarsi di nuovo, e lui la spiava. Si nascondeva all’esterno e taliava la bella Tania, la guardava proprio con ammirazione, lo stesso rispetto che si dà a qualcosa che si considera inarrivabile. Lei a fine servizio era tutta accalorata e sudata, se ne stava seduta su una panca, sorseggiando una Sprite a temperatura ambiente. Si toglieva lentamente i polsini sudati, poi subito le scarpe ed i calzini, pulendosi meticolosamente con il palmo delle mani la suola soffice dei suoi piedini delicati. Erano sbiancati e cotti dal servizio, ma nonostante tutto ancora splendidi. Se li toccava e li massaggiava, li annusava e li ripuliva. E lì, in quei momenti, fissando i suoi piedini dal buco della serratura, Cristiano sentiva indurirsi l’uccello dentro i pantaloni. Ad un certo punto lei si toglieva i leggins sudati e si stirava le lunghe gambe alzandole verso l’alto, poi si spostava dietro un armadio, per cambiarsi reggiseno e mutandine. Sembrava quasi che si preparasse per uscire, ma era l’una di notte e Cristiano, distrutto per le lunghe serie di antipasti che aveva portato su e giù per la sala, era stupito anche solo dall’idea.

Il rapporto tra i due camerieri era così passato da mediamente amichevole a molto amichevole, soprattutto perché il ragazzo in più di un’occasione si era dimostrato una vera e propria ancora di salvezza. Sembrava quasi che sapesse di essere spiata, che le piacesse. Perché si metteva sempre in favore del suo sguardo, quando la spiava attraverso la serratura. E d’altronde lei, che a ventun’anni era ancora vergine, era una piccola narcisista esibizionista. Aveva la pelle color nocciola e gli occhi scuri, con un enorme fungo di capelli riccioli sulla testa, che stranamente si facevano mettere in ogni piega. Aveva gambe lunghe con cosce formose, una vita stretta stretta, da far paura, soprattutto perché saliva lenta verso un seno ricco e compatto, una terza abbondante con i capezzoli dritti dritti, scuri scuri. Lui la mirava ed impazziva dentro mille fantasie, immaginando il morbido pelo fulvo fra le sue gambe fosse dello stesso colore, della stessa lucentezza dei suoi capelli.

A quell’epoca lui aveva appena compiuto diciotto anni e poteva a buon grado dirsi immacolato. Fin dalle scuole medie infatti le compagne di classe lo avevano preso d’assalto con le loro letterine piene di cuoricini, tutte a far la fila il sabato per vederlo giocare a pallone con la sua squadra. Però lui non si era concesso più di tanto. Qualche limonata qua e là, il fidanzamento con quella che era considerata la più bella della scuola, che però si era poi scoperto essere anche la più noiosa dell’intero distretto scolastico. Alle superiori le cose erano più o meno proseguite su quella strada, complice il rock’n’roll che aveva fatto d’improvviso capolino nella sua vita, monopolizzando i suoi interessi. Si era fidanzato quasi seriamente con una tipa, ma il suo unico interesse era che lei venisse a cantare nel suo gruppo. Non l’aveva mai scopata, forse per disinteresse o per apatia, ed al massimo le aveva concesso di fargli delle piccole seghe, di tanto in tanto, nelle serate speciali.
Da quando però aveva raggiunto l’indipendenza economica e l’autonomia abitativa, gli ormoni avevano magicamente ripreso a fluire nel suo corpo.

Per caso una sera successe che in cucina mancava del personale e Tania e Cristiano furono chiamati dal capo a dare una mano nella preparazione dei dolci. Questa volta se ne stavano davvero vicini, nello stretto, in due occupavano la postazione che solitamente era assegnata ad una persona sola. Capitava così che si scontrassero spesso, e lui aveva potuto sentire col suo corpo quanto fossero sode le natiche di lei. Ad un certo punto poi, nel mentre stavano preparando una crema pasticcera, a lei scappò di mano lo sbattitore elettrico, schizzandosi tutta addosso e sul viso di crema gialla. A quella visione Cristiano trasalì e giurò a se stesso che prima o poi l’avrebbe avuta, l’avrebbe fatta sua.

Dopo due giorni da quell’episodio, deciso a dare libero sfogo al testosterone che saliva, la invitò nel primo pomeriggio a prendere una granita sulla terrazza a mare.
Dopo essersi fatta lungamente attendere, lei arrivò con un vestito di una fantasia molto colorata, frizzante ed arioso, ed un grosso cappello in testa, da gran signora. Passeggiarono su lungomare, e poi salirono su fino alla vecchia fortezza, dove lui sperava avrebbero potuto trovare un po’ di privacy. Spirava una leggera brezza salmastrosa e sotto il sole di giugno la pelle di lei lo incantava ancor più. Arrivati in cima, sulla piazza d’armi, si chinò in ginocchio e le chiese il permesso per farle un baciamano. Cominciò a sfiorarle con le labbra l’anulare ed il medio, poi inumidendo passò al polso, girandolo sotto, dalla parte interna. Quell’aria calda provocò in lei una strana sensazione di solletico e godimento insieme. Cominciò a ridere forte, tanto che per farla smettere lui si convinse a salire su e schioccarle la lingua in bocca.

Non aveva opposto resistenza, anzi! Aveva cominciato a stringergli le mani morbide intorno al collo, in segno di approvazione. Nel mentre la baciava lui la vedeva che sorrideva con gli occhi, come a volergli dire “cazzo, quanto ci hai messo!” Poi successe tutto precipitevolissimevolmente. Siccome che lui sapeva che lei era più grande, dava per scontato che avesse già fatto l’amore chissà quante volte. E siccome non voleva che lei scoprisse che era ancora vergine, si era allenato bene guardando diversi filmetti porno nei giorni precedenti. Lei, che dal canto suo pure non voleva fargli sapere di essere ancora una verginella, quando lo vide intraprendente lo lasciò fare.

La spinse sotto un arco, dietro una grossa colonna in mattoni rossi, per ripararsi dal sole e da eventuali sguardi indiscreti. Cominciò a frugarle dentro le mutandine e quando aprì la patta fu inebriato dall’odore dolce e piccante che sprigionavano. Di peluzzi ne aveva pochi, giusto un triangolino alla fine de pube, ma erano proprio morbidi e lucidi come se li era immaginati. Un po’ goffamente cercò con il dito medio l’entrata della vagina, che era bella calda e sputava fuori caldi umori.
Fu lei però a fermarlo, prima che le facesse male. Muovendosi sul confine tra la grande esperienza e l’estrema goffaggine, anche lei gli aprì la lampo, cominciò a fargli qualche sega partendo dal prepuzio e scendendo completamente fino alla base del pisello. Poi si girò, appoggiando le mani alla colonna. Si tirò giù i pantaloni inarcando la schiena ed aprendo la sua fregna con le dita. Lui, che si teneva la cappella gonfia in mano, dopo aver preso le misure le saltò addosso, cominciando a stantuffare a più non posso.

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