La vergine dalle tette grosse

A vederla nella sua vita quotidiana Claudia dava tutta l’impressione di essere una donna normale. Trentotto anni, una gran lavoratrice, sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad uscire dall’ufficio. Sempre con qualche scartoffia in mano, che a volte utilizzava per coprirsi il volto nei momenti di timidezza. Si copriva anche il grosso seno quando si fermava a parlare con un interlocutore che non conosceva o con chiunque ritenesse degno di massimo rispetto. E certo, doveva tenerle in qualche modo a bada quelle grosse bombe che portava lì sul davanzale. La camicetta bianca e la giacchina nera che indossava d’ordinanza – quasi come un costume, non facevano altro che risaltarle, facendo emergere quelle belle minne burrose. Ed ogni tanto si gonfiavano troppo, quando lei veniva colta da un improvviso rossore…

Io a quei tempi facevo il portiere nel palazzo dove si trovava la sua ditta. Le sorridevo a trentadue denti ogni mattina ed ogni sera le auguravo buon appetito quando se ne andava, poco prima delle otto. Mai una volta che la vedessi uscire a pranzo… la immaginavo con la sua schiscetta, triste, che mangiava di fronte al computer sbottonandosi un poco la camicetta, fra una riunione e l’altra. Sempre dietro a gestire gli impegni del capo. Mentre i suoi colleghi uscivano per un pranzo veloce al ristorante, lei non metteva naso fuori dall’edificio.
A vederla di primo acchito, non sembrava infelice. La immaginavo sposata con uomo grosso almeno quanto lei – era alta oltre il metro ed ottanta, che la aspettava a casa ogni giorno per possederla fra le zinne, lasciando lì il suo seme. Anche se non lo dava ad intendere, doveva essere una gran porcona, dedita anima e culo a suo marito.

Con sommo sbigottimento dovetti presto ricredermi. Dopo averla incontrata una mattina nella saletta del caffè lessi nel badge e mi annotai il suo cognome. La cercai su Facebook invano. Così nel successivo “incontro casuale” attaccai nuovamente bottone, cercando di scoprire se aveva o meno un profilo sul social. Alla mia semplice richiesta la vidi subito che indietreggiò, e arrossì schizzandosi in viso un po’ di caffè. Si muoveva in maniera goffa, sballottando quelle due belle provole fresche che portava a zonzo. Poi tornò in sé e mi rispose semplicemente che c’era su Facebook, ma che dovevo cercarla non con il suo vero nome, ma con il suo nickname, Wendy Clo.
Nei giorni successivi, dopo averle chiesto l’amicizia, mi trasformai in un piccolo detective voyeur digitale. Avevo scoperto un po’ di cose basilari. Non sembrava avere un uomo, né essere fidanzata. Ma, cosa più interessante, non sembrava neanche essere stata fidanzata, almeno non di recente. Non c’erano foto romantiche con uomini – o donne che dir si voglia, solo qualche tavolata in pizzeria e sporadiche apparizioni in costume alle adunate di cosplayer. Ebbene sì, era un po’ nerd. Indossava costumi stretti che le fasciavano il seno. E a me questo piaceva ancor più. Ma la cosa su cui fantasticai in quei giorni in cui mi feci le prime seghe su di lei è che fosse ancora vergine.
Sì, vergine a 38 anni. Lo davano ad intendere alcuni particolari di non secondaria importanza che avevo subito notato. Il suo sguardo da porcellina sotto gli spessi occhiali neri si trasformava – a stretto contatto con il fiato sul collo di un uomo, nell’espressione insicura e timida di una ventenne che non ha ancora trovato il suo posto al mondo. E, cosa ancora più importante, accostandola per chiederle del suo profilo avevo notato che istantaneamente nell’aria si era diffuso un leggero afrore, un odore di fregna misto a cammello, dai tratti molto animaleschi. Lì per lì lo avevo annusato quasi senza farci caso, poi ripensandoci quando mi era entrato nelle narici mi aveva ricordato di qualcosa, di quelle scopate che mi ero fatto da giovanetto all’università con alcune compagne di studi candide, ancora intatte. Contro la tesi della verginità c’era però un dettaglio non da poco. Quelle tette, quelle meravigliose tette… possibile che nessuno prima di allora se ne fosse mai impossessato, anche solo per farci un giretto?

Volevo saperne di più. Cominciai a pedinarla in chat su Facebook. Non ci volle molto per strapparle la promessa di un’uscita insieme. La portai lungo il lago nei pressi di uno chalet dove facevano musica dal vivo. Era il locale del mio amico Johnny, specializzato in cocktail all’assenzio. Fu la mia salvezza, perché lei, che si diceva praticamente astemia, attratta dai miscugli diabolici del Johnny, finì ben presto per averla davvero grossa. Mi si aggrappava al petto ubriaca, infilandomi le mani sotto la camicia.
“Però, non credevo che un portiere avesse questi pettorali!”, il suo commento mi fece drizzare le punte dei capezzoli. “È che faccio molto sport!” risposi quasi sbigottito dal suo repentino calore, abbracciandola a stento intorno alle sue larghe spalle. Si accovacciò su di me, facendomi finalmente sentire addosso il peso del suo enorme seno. Poi, senza dir niente infilò un dito nel mio cocktail quasi finito. Se lo bagnò e si allungò per passarmelo dietro l’orecchio. “Avvicinati, devo dirti un segreto…” mi sussurrò con gli occhi pieni di voglia.
Biascicò tre parole incomprensibili nel mio padiglione auricolare, poi prese una mano e se la infilò sotto la gonna. Aveva le mutandine già abbassate ed allungai d’istinto il dito medio per entrare. Sembrò di sgusciare nel ventre di una succulenta ostrica gigante. La ragazza era bagnatissima ed appena avvicinai il dito ebbe alcuni scossoni.
Però a toccare meglio mi vennero dei dubbi, era strana. Aveva una vulva sporgente e gigantesche labbra gonfie. Il dito entrava solo di pochi millimetri dentro la vagina stretta.
Sì l’apertura era molto stretta, ancora inviolata.

La vidi che rideva chiudendo gli occhi ormai sfatta, mentre tentavo di strusciarla esternamente per masturbarla senza farle male. Prima che si addormentasse dovevo portarla a casa, per farla mia nel letto. Nel tragitto in taxi con il freddo Claudia si riebbe un poco, ed a casa, scaldandola con una tisana, ripresi il discorso da dove l’avevamo interrotto. Qui, nel mio regno, avevo tutto ciò di cui c’era bisogno in una situazione simile. Olio lubrificante, mini dildo di differenti dimensioni in lattice naturale, cremine. La spogliai e la feci girare supina, con il culo nudo in bella mostra. Una volta che fu ben lubrificata le ruppi l’imene con un colpo deciso di cappella e comincia a penetrarla millimetro dopo millimetro. Il mio cazzo si ingrandiva e sentivo che la sua pelle si faceva più morbida ed elastica. Lei si contorceva e mugolava di piacere e dolore. A quei sospiri il mio uccello si ingrossava ancor più diventando tozzo, così da provocare piccole lacerazioni nella sua fichetta. Non avevo ancora infilato il cazzo per metà dentro che la sentii inarcare la schiena e contorcersi come una cagnolina alla ricerca dei colpi giusti per raggiungere l’orgasmo. Venne di colpo urlando e la situazione si fece ancor più bagnata, consentendomi di scivolare fino in fondo a quella dolce passerina. La feci girare sul davanti e d’un tratto, quando rinvenne dall’orgasmo, mi guardò diventando viola per la vergogna. Si vergognava del piacere che aveva provato.
Di tutta risposta cominciai a divertirmi strusciando le mie palle gonfie sulla sua enorme vulva, che mi ispirava passioni animalesche. Le aprii le gambe facendole un po’ male e la penetrai nuovamente con maggiore passione. Quell’orgasmo sembrava averla in qualche modo spurgata.
Adesso la martellavo puntando i piedi sul letto e mi aggrappavo alle sue grosse bocce che mi sostenevano nella cavalcata. Era tutta sudata, sapeva di sale. La zoccola non sapeva come muoversi e cercava di venirmi dietro, ma la vedevo che non si tratteneva dal piacere e già dopo poco era vicina a raggiungere un altro orgasmo. La feci così sfogare e solo allora estrassi il mio pistolone dalla sua topa caldissima, ormai simile ad un’umida fornace.
Presi il mio randello in mano, sputai due o tre volte sulla cappella e la inserii fra le morbide tette di Claudia. Adesso sembrava più a suo agio. Non solo mi seguiva, ma sembrava guidare progressivamente lei le danze. “Hai capito!?”, mi dissi. “La zoccola era ancora vergine… di figa sì, ma con quelle tette doveva aver macinato un numero importante di seghe, di spagnole. Chissà quanta sborra aveva visto quel petto, quanti amichetti del capufficio erano passati da lì?!”
La cosa me lo fece diventar ancora più duro e cominciai a schiacciarmi le palle saltando sul ben di dio delle sue tette, menandomi il randello in direzione della sua faccia. Volevo schizzarle sul viso, copiosamente. Volevo immortalare quel flash nella mia memoria per un istante di puro godimento. E poi scappare via. Prima che lei avesse il tempo di scoprire chi ero veramente, di innamorarsi di me e del sapore del mio cazzo.

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